domenica 29 gennaio 2012

58 Branco a primavera

Un olio su tela preparata a gesso, in casa, 70x100cm. Credo d'aver già detto che la Pittura è comunque astratta, per cui il punto topico del quadro non è necessariamente il soggetto del titolo. Avevo cominciato lavorando sulla vigorosa eleganza dei quadrupedi, poi ho pensato di ambientarli. Il prato è una scelta ovvia, dopodichè si comincia a pensare come questo prato si deve configurare e che parte deve avere nel dipinto. Il verde dell'erba è uno dei miei grandi problemi, invidio certi luminosi prati monocromatici, quelli che dipingo io sembrano sempre qualcos'altro, così che ho pensato che il colore di qualche fiore avrebbe frammentato la massa di verde, e lo studio minimale degli steli e delle ombre avrebbe fornito spunti per modulare. Ho lavorato pensando al prato della Primavera di Botticelli ed a certe matericità di Morlotti, ho ripassato mentalmente tutti gli effetti della luce sulle vegetazioni, tutta la Pittura che ha trattato i fiori, ed ho steso tratti di giallo, d'azzurro, petali color pastello, ombre viola, sprazzi di rosso disposti strategicamente, ed ho velato di pallidissimo verde, di terra debole, riprendendo poi gialli e verdi a impasto più forte, fermandomi solo quando m'è parso che la striscia di prato si integrasse coerentemente con le altre cose dipinte, diventando parte fondamentale del quadro. Il soggetto non è il branco, non è un singolo cavallo, cielo e terra non sono meri apparati di sfondo, il soggetto non è neanche la primavera, bensì la sensazione della primavera, qualcosa di diffuso in tutto quello che è rappresentato, ed in questo senso la fioritura conta quanto l'annusare attento, lo scalpitìo sospeso della mandria, la leggerezza delle nuvole, la limpidezza della luce. In questo consiste l'astrazione, quella che Artisti con diverso percorso evocano senza figurare immagini riconducibili a qualcosa che siamo abituati a vedere. Come per l'Inverno, ho tenuto un punto di vista basso, per straniare la prospettiva più abituale, cercando di rendere lo spazio con altri espedienti. Tutta una Pittura vedutistica, europea e successivamente migrata negli spazi dei Nuovi Continenti, è ricca di panoramiche d'ampio respiro, mi viene in mente una favolosa veduta di Roma da un'architettura sopraelevata ad opera di Turner, con quella curvatura che il Maestro utilizza prima che la fotografia inventi grandangoli e occhi di pesce, e di quelle magiche atmosfere ho voluto tener conto, conservando però l'inquadratura stretta del Caravaggio nella Conversione di San Paolo, sembrandomi la visione ravvicinata dei soggetti più funzionale alla rappresentazione dell'umore degli stessi: un branco di cavalli liberi in un grande spazio non ne avrebbe evocato il respiro, l'afrore, la vibrazione dei muscoli. Ma i cavalli sono comunque liberi in un grande spazio, e questo è ciò che il dipinto deve evocare, uscendo dai limiti del quadro. E per questo mi sono servito dei toni di colore, della plasticità dei chiaroscuri, e del minimalismo dei fiori che si perdono in una prateria.

giovedì 5 gennaio 2012

57 L'amore ripreso
















Il cavallo è probabilmente la prima cosa riconoscibile che io abbia imparato a fare, disegnando con un mozzicone della matita da falegname sulle tavole piallate, nella bottega paterna, al paesello. Mio padre m'aveva fatto, qualche volta, delle sagome di carta, strappando i margini a trattini, e qualche volta mi aveva disegnato una figura equina molto stilizzata su qualche scarto di compensato, ed io avevo cominciato a tracciare a mia volta quella primitiva immagine di quadrupede. Ginosa, sulle Murge, è terra di cavalli, con l'asino di Martinafranca si incrociano infaticabili bardotti, ed il traino a due ruote era il mezzo più diffuso nel paese, sicchè gli equini erano costantemente presenti nel mio immaginario infantile. Emigrando a Milano, venni a conoscenza dei pesanti cavalli da tiro, che andavano comunque scomparendo, e dell'esistenza, in un qualche posto inaccesibile, dei favolosi purosangue da corsa. Disegnando moltissimo tutto quello che stimolava la mia fantasia, andavo riempiendo di cavalli ogni foglio pulito che mi capitasse a tiro, dagli imballi recuperati ai fogli di quaderno o, naturalmente, ai fogli da disegno, per la verità piuttosto rari ai tempi, per mancanza sia di soldi che di attenzione per le esigenze espressive dei ragazzini. Accostandomi, col passar degli anni, ad una concezione più, diremo, professionale del disegno, mi lasciai convincere ad applicarmi a soggetti più "seri" secondo non so chi, trascurando vieppiù il cavallo, se non per frequentazioni sporadiche. Mi sembra giusto, quindi, riprenderre ora quel soggetto così stimolante e completo per eleganza ed armonia della struttura muscolare, ponendolo come soggetto prevalente, anche se l'argomento del quadro c'entra poco o niente con quanto rappresentato. Nei tre lavori riprodotti in alto, lavori di almeno dieci anni or sono, il cavallo è parte della storia, sia quello bianco, evocativo, di Emiliano Zapata, sia la montura di Godiva, sia quella sullo sfondo del cavalleresco Giorgio, disarcionato da una moto. Nell'ultimo lavoro, invece, sono i due cavalli che rappresentano l'argomento dichiarato dal titolo: Inverno (olio su tela cm. 60x80). Chi minimamente sa  di cavalli, non può non associare l'aspetto di questi due ad una razza nordica, di paesi il cui pensiero evoca immediatamente il freddo, segnalato anche dall'abbondante condensa del fiato, come io ricordo, nello stupore di bambino meridionale, dalle narici degli esemplari che ancora trainavano carichi nella foschia degli inverni Milanesi, sul finire dei post-bellici anni 50, quando la periferia conservava ancora qualche fianco di casa dove si leggevano le stanze distrutte dalle attenzioni dei Liberator: la traccia di un lavandino, di uno sciacquone, un profilo di gradini, un corridoio giallino, una stanza azzurra, e forse qualche famiglia giù da basso, nel sotterraneo segnalato "UeSse", a tremare imprecando, qualcuno felicitandosi di star scampando a quel finimondo, che dovrà pur finire.
Oggi invece i giganteschi equini passeggiano in un'algida giornata, facendo risuonare coi grandi zoccoli ferrati il terreno ghiacciato, con la brina che il sole non riesce a sciogliere. Anche qui ho ricercato la profondità di campo senza calcolo di fughe, ed un punto di vista ribassato esalta l'imponenza dei due quadrupedi. Una ricerca laboriosa è stata quella di una luminosità glaciale, nel contrasto del cielo con la massa calda di pelo e muscoli: ho steso un letto di azzurro cobalto e manganese, a tratti di pennello, intercalando con impasto di bianco ed azzurro ceruleo, qualche pallido accenno di giallo, velando poi con spinello di cobalto, che vira al verde, e rilavorando ancora con giallo di cadmio sul bianco titanio ed altro azzurro di Manganese, e non mi si venga a dire che si poteva risolvere con un bell'impasto di azzurro sfumato nei punti strategici, perchè so di eccellenti fotografi che scattano immagini suggestive, e di illustratori dotati che realizzano magiche atmosfere con procedimenti rapidi, ma qui è di Pittura, che si vuol parlare.