Il vento di Fidia
Olio su tela 8ox100
Ero partito con l'intenzione di completare la serie delle stagioni con cavalli, dipingendo un quadro autunnale.
Rappresentare la caduta delle foglie introduceva un elemento di movimento, e siccome mi pareva opportuno muovere anche i cavalli, arrivai alla conclusione del galoppo nel bosco.
Erano i giorni della disgrazia della Grecia, quando l'Unione Europea addossava alla piccola nazione la responsabilità del baratro finanziario, ed il governo greco non trovava di meglio che ossequiare la spocchia dei nordici opulenti, portando alla fame un popolo già variamente provato nella sua storia da tragici eventi, fra cui, da non dimenticare, l'invasione delle truppe fasciste, delle due nazioni europee che il fascismo avevano creato e diffuso.
Ho passato vari mesi ad Atene, al tempo dei figli dei fiori e dei colonnelli, e, pur con qualche screzio, che del resto non sarebbe mancato neanche in patria o altrove, conservo un bel ricordo dell'accoglienza amichevole, talvolta fraterna, della gente di quelle parti. Avevo pure lavorato nella bottega di un artista di nome Manos, parte di una modesta itellighenzia liberal che sfidava a suo modo il regime, avevo dipinto un murale nella locanda di Barbastavros, un soffitto in un locale di Kolonakis, avevo suonato la batteria con un gruppo locale...
M'è parso giusto, quindi, ricordare gli amici rendendo omaggio a Fidia, ispirandomi alla sua cavalcata che bisogna andarsela a vedere a Londra.
Per essere Grecia, doveva esserci il mare, ma non volevo che si vedesse la linea d'orizzonte, ed un accenno di pineta avrebbe ulteriormente evocato un paesaggio Mediterraneo.
Inoltre, i cavalli dovevano somigliare a quelli di Fidia, interpretati in modo molto diverso e con diversi rapporti proporzionali di come sono abituato a fare, e tutto l'insieme mi richiamava i cavalli sulla spiaggia di De Chirico, che fra l'altro in Grecia ci è nato.
Il mare doveva figurare come sfondo, rappresentato solo dal luccichio delle onde, come quando lo si vede dall'alto e da lontano, senza elementi spettacolari nè barche ad aiutarne l'individuazione, i cavalli dovevano sfrenarsi in un turbinio di foglie cadenti, sollevadone altre col galoppo. Il disegno m'era parso accurato, e credevo d'aver trovato la giusta cifra per i cavalli, ma non mi ci volle molto a vedere che non riempivano bene l'inquadratura, e l'ambientazione nel bosco col mare di sfondo non aveva comunque spazio per svilupparsi. Corressi un'infinità di volte, fotografando ogni fase, ma ad un certo punto abbandonai. Un virus, fra l'altro, mi distrusse le foto, e pensavo di imbiancare la tela, per riprendere poi il soggetto su una tela più grande.
Fu dopo varie settimane che, togliendo il fogliaccio che avevo messo per nascondere, mi venne fatto di pensare al lavoro così come lo si vede adesso, una specie di rovina colorata.
Non sono completamente soddisfatto, i colori li trovo stanchi, l'impianto generale è debole, si leggono male le foglie che ho voluto elaborare col dripping, il mare sembra un cielo mal riuscito.
Insomma, il quadro è da rifare, ma questa involontaria rilettura di un modo futurista mi stimola: insistere su un disegno canonico, facendolo però a pezzi in funzione dinamica e mantenendo coerenza di maniera. Un lungo discorso, che merita di esser proseguito.
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