lunedì 28 giugno 2010

40 Susanna e il lenzuolo a fiori





Susanna e il lenzuolo a fiori
Pastello a olio su carta cm.35x50
Per il mio genere di pittura, il pastello ad olio può servire a rendere velocemente un'idea di quello che potrebbe essere un quadro. La sua densa materialità permette di avere tinte cariche, sovrapponendo e raschiando con lametta o sgarzino, si può sfumare una tinta dentro l'altra, ottenendo una testura che richiama la tecnica divisionista. Nessuno stupore che Zandomeneghi riuscisse a creare le sue soffuse morbidezze, gli incarnati palpitanti, con un mezzo così elementare, o forse il suo era addirittura pastello secco. Si conferma una volta di più che è la qualità artistica dell'autore che determina il valore dell'opera, valore non di mercato, intendiamoci, quello è regolato da canoni autonomi, che non di rado tengono in nessun conto il valore artistico. Evito quindi di entrar nel merito, anche se nella vita pratica, come tutti, ne subisco il condizionamento. Concludendo, il pastello, è un mezzo semplice e generoso, oltre a gradevoli risultati immediati, offre spunti di considerazione sulla gestione del colore, essendo possibile ogni accostamento senza attese d'asciugatura e senza doversi porre il problema di compatibilità dei pigmenti, in modo da potersi permettere un'infinità di varianti, ripensamenti e correzioni.

domenica 27 giugno 2010

39 Riflessioni dopo la catastrofe

Pala per L'Aquila
Olio su tela cm.90x120
La bellissima terracotta rinascimentale, brutalizzata dal terremoto in modo rimediabile ma significativo sugli arti, attorniata dai vigili, richiama una pala d'altare, evocata anche dal titolo: "Pala per L'Aquila". Non conoscevo l'autore della statua, Saturnino Gatti, ed andandomene ad informare, scoprii che originariamente si trattava di una terracotta policroma, di cui il colore confondeva la delicatezza del modellato, che non esito a definire di gusto Botticelliano. Mi sarebbe piaciuto disegnarla dal vivo, rinverdendo i fasti dei miei anni a Brera, ma dovetti accontententarmi di una buona foto. L'idea di aggiungere il gruppo dei vigili mi venne per averli visti nella foto in questione, scattata sul campo, e comporlo come s'erano composti nei secoli gruppi d'angeli e santi fu naturale, come fu naturale usare per sfondo un abside semidiroccato, rifacentesi lontanissimamente alla Pala Montefeltro di Piero. Mentre lavoravo sulle macerie ai piedi della composizione, mi venne di pensare alla copertina di un disco di Frank Zappa, "We Where in It Only for the Money", dove, parodiando i Beatles di Sgt. Pepper, i Mothers of Invention posano su una discarica con notevole presenza di rifiuti alimentari, ed ho la sensazione che un qualche nesso ci sia, se pur molto remoto ed assolutamente involontario da parte mia, o meglio, dalla parte cosciente di me. Del resto, ho più volte sostenuto che una sorta di possessione guida il lavoro dell'Artista, in uno stato della mente che produce gli a solo di charlie Parker, come i versi di Cecco Angiolieri, e perdonate se oso intrufolarmi tra eccelse figure. Tornando al quadro, il pretesto per dipingere la bella Madonna, è un memento per la sciagura, ed un omaggio ai vigili del fuoco, per i quali nutro simpatia, sapendo che intervengono efficientemente e senza fanfare, come testimoniato dagli stessi superstiti dell'Aquila. Le mani troncate, che non possono nè pregare, nè benedire, denunciano l'inefficienza del Governo, che si sprecò, nella persona del Leader Maximo, in altisonanti promesse di ricostruzione, in buona parte disattese. Ma a breve periodo, Haiti fu colpita da un sisma più forte, che devastava ulteriormente un'isola già carica di umanità senza speranza. Il quadro non era finito, e fu ovvio dedicare il mio modesto segno, nella generalità delle sciagure, a quelli che portano soccorso dove serve, ponendo i Vigili del Fuoco come simbolo di quell'esercito disarmato che combatte contro la sofferenza. Mi rendo conto dei rischi che si corrono usando simbologie retoriche e toni celebrativi, ma penso che un quadro può fornire argomento di riflessione su eventi drammatici, che è giusto non dimenticare, come giusto è non dimenticare che è Pittura, quel che vado facendo. In questi ultimi giorni, oggi è il 3 di dicembre, stanno arrivando terrificanti notizie di una epidemia di colera nell'isola di Haiti, con resoconti di immagini infernali di una tragedia resa ancor più tragica da follie superstiziose, con presunti untori fatti letteralmente a pezzi, mentre adulti e bambini, soprattutto bambini, cadono decimati da un morbo schifoso che, dicono, potrebbe essere debellato semplicemente con acqua pulita, magari con un po' di cibo sano. Qualunque discorso rischia la banalità, e nessun dipinto d'immagine apocalittica potrebbe essere memento di questa e di tutte le altre disgrazie che straziano l'umanità, la parte più debole, mentre la parte ben pasciuta dovrebbe rinunciare a ben poco, per risolvere: mi risulta che ci siano impianti che dissalano l'acqua marina, installati negli Emirati del petrolio da industrie brianzole, si mandano uomini e mezzi, costosissimi mezzi, a far massacri per difenderci, dicono, da altri massacri, e solo sparuti gruppi di brave persone soccorrono quel che possono, quando una massiccia operazione, coordinata dagli abili strateghi che ogni nazione "civile" mette in campo, potrebbe, in poco tempo, e spendendo meno di quanto costa la più stupida delle guerre attualmente in corso, porre fine a questa guerra che l'umanità disperata continua a perdere, spesso senza poter combattere.

mercoledì 23 giugno 2010

38 L'ultimo ballo

Primo studio


Bozzetto gouache
Save the Last Dance for Me
Olio su tela cm. 90x110
L'idea m'era venuta guardando il clown di Hopper in mezzo ai commensali su una terrazza, dove nessuno si cura di lui, un'immagine di solitudine accettata con tranquilla consapevolezza che in qualche modo mi evocava le dolci melancolie di cui Fellini è maestro, con un sottofondo di valzer che arriva sussurrato da un grammofono fuori scena. Disegnai infinite volte la cameriera, che doveva avere un fisico appropriato, volevo che si abbandonasse danzando in un abbraccio immaginario, con lieve autoironia. Disegnando le sedie, poi, mi venne in mente anche un lavoro di Pina Bausch che danza circondata da sedie da cui cerca di liberarsi, inserito in non ricordo che film di Almodovar, forse "Parla con lei". Le mie sedie, però, non imprigionano la mia danzatrice, sono piuttosto un discreto pubblico per la sua gioviale solitudine. Pensando al titolo, mi venne in mente la canzone sambeggiante che avevo sentito da Sam Cooke, o forse era Smokey Robinson, in italiano la facevano i Rockes di Shapiro. Seppi in seguito che l'autore era un ragazzo sfortunato, che, costretto su una carrozzella, guardava la moglie divertirsi nella danza, aspettando con amorevole indulgenza di rincasare assieme a lei. Il valzerino alla Nino Rota fu quindi abbandonato per la tenera amarezza di quel testo sconsolato su un ritmo limbo, e penso che alla fine il quadro abbia relizzato quell'atmosfera sospesa che cercavo, ebbra nella brezza dell'ora lunare, dondolata sulle onde là fuori, mare o fiume, non importa sapere.